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LAVORARE CON STRESS?
L'orientamento in ordine al dovere datoriale di sottrarre il lavoratore da mansioni pregiudizievoli per lo stato di salute.
Veronica Passarella Dottore in Scienze Politiche, specializzazione in Consulenza del lavoro



LAVORARE CON STRESSOra se è stato correttamente affermato che il lavoratore menomato nello stato di salute e divenuto inidoneo allo svolgimento delle mansioni contrattuali non può essere licenziato per il venir meno dell'interesse del datore di lavoro alla residua prestazione ma deve essere ricercata in azienda – senza comportare aggravi organizzativi – la possibilità di un reimpiego in mansioni più consone allo stato di salute che il lavoratore può proficuamente disimpegnare, senza pregiudizio per le sue minorate condizioni, non può non sussistere (peraltro, a monte) un dovere datoriale di "prevenire" il deterioramento psico/fisico del lavoratore medesimo a causa delle mansioni svolte.
Dato per scontato oramai che sussiste un dovere dell'azienda di sottrarre i lavoratori "collettivamente intesi" da mansioni o lavorazioni oggettivamente morbigene sussiste anche un diritto del "singolo lavoratore", caratterizzato da una particolare conformazione organica e da una eventuale fragilità, ad esempio, dell'apparato cardio/vascolare (soggetti ad ipertensione arteriosa, ecc.), dell'apparato osteo/articolare (scoliotici e simili), dell'apparato respiratorio (asmatici ed allergici, ecc.), dell'apparato neurologico (soggetti labili, ansiosi, depressi, ecc.) ad essere sottratto allo svolgimento di mansioni "soggettivamente" pregiudizievoli per la salute, da parte del datore di lavoro cui sia stata notificata e documentata (tramite probante certificazione sanitaria) la potenziale o effettiva dannosità delle mansioni assegnate.
Il problema del "dovere" o "obbligo" datoriale di sottrarre da mansioni pregiudizievoli si sposta dai lavoratori intesi quale "collettività" al "singolo" prestatore di lavoro, giacché determinate mansioni o lavorazioni indifferenti per la collettività – e quindi non oggettivamente morbigene – possono risultarlo per quel "singolo lavoratore", in ragione ed a causa della sua particolare conformazione o struttura organica.
L'esistenza di tale dovere è desumibile – inequivocamente – dalla sussistenza in capo al datore di lavoro di un obbligo a contenuto amplissimo ed a connotazione "prevenzionale", costituito dalla prescrizione dell'art. 2087 c.c. secondo cui "l'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che , secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". Questo obbligo "prevenzionale" di salvaguardia della integrità psico/fisica si salda e si rafforza con la necessaria lettura dell'art. 32 Cost. che afferma quale obbligo dello Stato quello della "tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività".
Non può," pertanto, che essere considerata oscurantista e superata quella giurisprudenza che afferma che: "nel caso in cui determinate mansioni o condizioni di lavoro, pur non essendo oggettivamente morbigene – ed essendo quindi esclusa una violazione degli obblighi gravanti ex art. 2087 c.c. sul datore di lavoro – siano pregiudizievoli per la salute di un determinato lavoratore, determinandone un ricorrente stato di malattia, il datore di lavoro, salva espressa previsione di legge o di contratto, non è tenuto ad adibire il dipendente ad altre mansioni. Conseguentemente è legittimo il licenziamento di quest'ultimo attuato dopo il superamento del periodo di conservazione del posto" (4).
Queste decisioni – che oltre tutto appartengono, nella quasi totalità, al pregresso orientamento assertore dell'irrilevanza per il (ed indifferenza del) datore di lavoro nei confronti delle malattie determinanti impossibilità sopravvenuta parziale della prestazione, materia nella quale ha operato una svolta la già citata Cass. sez. un. n. 7755/1998, nel senso di asserire l'obbligo datoriale del reperimento di mansioni compatibili con lo stato di salute e di residua idoneità lavorativa del prestatore d'opera - non sono affatto condivisibili perché forniscono una lettura restrittiva dell'obbligo prevenzionale contenuto nell'art. 2087 c.c., escludendo che lo stesso possa riguardare il singolo (con le sue individuali fragilità e la sua particolare conformazione organica) e, per contro, riservando le misure di salvaguardia datoriali solo per la "collettività" dei lavoratori.
Quanto andiamo dicendo non costituisce affatto una nostra opinione soggettiva, poiché le più recenti e migliori decisioni della Cassazione – che relegano le opposte opinioni sopra riferite nell'alveo di un orientamento superato o in via di superamento – affermano che: “E’ soggetto a responsabilità risarcitoria per violazione dell’art. 2087 c.c. il datore di lavoro che, consapevole dello stato di malattia del lavoratore, continui ad adibirlo a mansioni che sebbene corrispondenti alla sua qualifica siano suscettibili – per la loro natura e per lo specifico impegno (fisico e mentale) - di metterne in pericolo la salute. L’esigenza di tutelare in via privilegiata la salute del lavoratore alla stregua dell’art. 2087 c.c. e la doverosità di una interpretazione del contratto di lavoro alla luce del principio di correttezza e buona fede, di cui all’art. 1375 c.c. – che funge da parametro di valutazione comparativa degli interessi sostanziali delle parti contrattuali – inducono a ritenere che il datore di lavoro debba adibire il lavoratore, affetto da infermità suscettibili di aggravamento a seguito dell’attività svolta, ad altre mansioni compatibili con la sua residua capacità lavorativa, sempre che ciò sia reso possibile dall’assetto organizzativo dell’impresa, che consenta un’agevole sostituzione con altro dipendente nei compiti più usuranti. Quando ciò non sia possibile, il datore di lavoro può far valere l’infermità del dipendente quale titolo legittimante il recesso ed addurre l’impossibilità della prestazione per inidoneità fisica – in applicazione del generale principio codicistico dettato dall’art. 1464 c.c. – configurandosi un giustificato motivo oggettivo di recesso per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, e restando in ogni caso vietata la permanenza del lavoratore in mansioni pregiudizievoli al suo stato di salute" (5).
In questa decisione fondamentale, riguardante una fattispecie relativa ad un lavoratore, in età non più giovanile, colpito, in dipendenza da stress causato dall’impegno lavorativo e dalle condizioni di espletamento della prestazione - dipendenza o causalità accertata da consulenza tecnica d’ufficio - da infarto miocardico, la Cassazione ha asserito che l’art. 2087 c.c., che tutela, nell’ambito dell’organizzazione dell’impresa, il bene della salute psico/fisica protetto dall’art. 32 Cost., fa si che, anche nel caso in cui la sopravvenuta inabilità non sia riconducibile ad infortunio sul lavoro (che postula la c.d. ”causa violenta” che determini una brusca rottura dell’equilibrio organico e non un evento lesivo costituente l’effetto lento e progressivo di condizioni gravose di lavoro che abbiano minato gradualmente l’organismo del prestatore, come nella fattispecie esaminata), sorga a carico del datore di lavoro una responsabilità risarcitoria per c.d. “danno biologico”, nel caso in cui non provveda ad adibire il lavoratore (cioè a spostarlo) a mansioni più confacenti con il suo minorato stato di salute, tali da precludere un aggravamento della salute medesima.
L’obbligo datoriale sussiste compatibilmente con la sussistenza di posizioni di lavoro confacenti in azienda per il lavoratore inabile – ivi inclusa la sostituzione nei compiti più usuranti con altro lavoratore più idoneo dal punto di vista dello stato salute - senza naturalmente che la stessa azienda sia costretta a creare per l’inabile una posizione non necessaria dal punto di vista organizzativo e produttivo.
E la Suprema corte giunge, nella sopra riferita decisione, a queste conclusioni adducendo che “i principi di correttezza e di buona fede che devono presiedere all’esecuzione del contratto di lavoro ai sensi dell’art. 1375 c.c., richiedono – in ossequio a quanto imposto dall’art. 2087 c.c. – che il datore di lavoro, a conoscenza di un’infermità del lavoratore incompatibile con le mansioni affidategli, deve mettere in atto tutte e misure a tutela dell’integrità psico/fisica del suo dipendente, incorrendo conseguentemente in responsabilità per danni alla salute che il dipendente stesso abbia subito per essere stato indotto a continuare un’attività lavorativa che, per la sua natura e le concrete modalità di svolgimento, sia suscettibile di determinare un aggravamento delle sue già precarie condizioni di salute”.
Nello stesso senso – cioè a dire per un obbligo prevenzionale mirato al "singolo lavoratore" – si è espressa, poi, una successiva decisione della Cassazione del 1 settembre 1997, n. 8267 (6) secondo la quale :"In ottemperanza all'art. 41, comma 2°, Costituzione, secondo cui la libertà di iniziativa economica incontra l'imprescindibile limite di non arrecare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana, il datore di lavoro non può esimersi dall'adottare tutte le misure necessarie – compreso l'adeguamento dell'organico – volte ad assicurare livelli competitivi di produttività senza compromissione, tuttavia, dell’integrità psico fisica dei lavoratori soggetti al suo potere organizzativo e di dimensionamento della struttura aziendale. La regola consolidata nell'ambito del'art. 2087 c.c. prescrive che l'attività di collaborazione cui l'imprenditore è tenuto in favore dei lavoratori, non si esaurisca nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge ma si estenda alle altre iniziative o misure che appaiono utili per impedire il sorgere o il deterioramento di una situazione tale per cui lo svolgimento dell'attività lavorativa determini, con nesso di causalità, effetti patologici o traumatici nei lavoratori".Analogo principio è stato riaffermato dalla cassazione nella più recente decisione del 26 maggio 2005 n. 11092 (inedita allo stato) la cui massima dispone: « Il datore di lavoro, una volta che sia emerso che il lavoratore presenta infermità che mettono in dubbio la compatibilità delle mansioni cui è addetto con il suo stato di salute, ha il dovere di verificare tale compatibilità e di assumere i provvedimenti conseguenti, a norma dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 4, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 626/1994 (cfr. Cass. 22 aprile 1997 n. 3455, 2 agosto 2001 n 10574). L'eventuale impossibilità, sul piano organizzativo, di assegnare il lavoratore a mansioni compatibili con le specifiche infermità e limitazioni fisiche da cui il medesimo sia affetto non giustifica l'assegnazione a mansioni non compatibili. Salva rimanendo la possibilità del datore di lavoro di licenziare il lavoratore per giustificato motivo oggettivo, in caso di comprovata impossibilità di assegnazione dello stesso a mansioni compatibili (anche con deroga al divieto ad assegnazione a mansioni di livello inferiore: cfr. Cass. sez. un., 7 agosto 1998 n, 7755). Con la precisazione che le assenze per malattia, che siano valutabili come conseguenza dell'illegittima assegnazione del lavoratore a mansioni non compatibili con il suo stato di salute, non possano rilevare ai fini del superamento del periodo di comporto».
Nello stesso orientamento si pone anche parte della giurisprudenza di merito, tra cui Pret. Roma 14 giugno 1988 (8) secondo la quale : "le misure che l'imprenditore deve adottare ai sensi dell'art. 2087 c.c. devono essere individuate anche con riferimento a posizioni di singoli lavoratori dotate di tratti di peculiarità. Pertanto, nel caso in cui un lavoratore versi in una condizione patologica che ne determini una particolarissima vulnerabilità alla fatica, il datore di lavoro, in osservanza ai doveri di prudenza e diligenza di cui all'art. 2087 c.c., è tenuto ad attivarsi allo scopo di rintracciare un'adeguata collocazione al dipendente. La violazione di tale dovere determina per l'imprenditore un obbligo di risarcimento di danno, con riferimento non solo alla capacità produttiva di reddito del lavoratore, ma anche al c.d. danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul 'valore uomo in tutta la sua dimensione' ".

Veronica Passarella
Dottore in Scienze Politiche, specializzazione in Consulenza del lavoro



L’organizzazione del lavoro non può trascurare che all’interno del processo lavorativo non vi è solo la componente tecnica, ma vi è l’elemento pulsante, la componente umana rappresentata dalla popolazione lavorativa nel suo complesso. Lo stato di efficienza, pertanto, raggiungibile portando i processi tecnici ad eccellenza, deve necessariamente comprendere anche il fattore umano. Nell’ottobre 2004 è stato siglato il primo Accordo Bilaterale Europeo (a natura vincolante per le parti firmatarie) dalle delegazioni negoziali dei datori di lavoro e dei lavoratori di tutti i paesi membri europei. Tale atto rappresenta una svolta fondamentale in materia perché individua dei principi comuni da rispettare per identificare i problemi di stress lavoro-correlato, perché identifica le responsabilità delle parti in causa (a partire dal datore di lavoro), chiamandole, oltre ad impedire, eliminare i problemi dello stress lavorativo, a svolgere una adeguata analisi preventiva dell’organizzazione del lavoro (oltre che ad impedire/eliminare le cause di stress lavoro-correlato). L’accordo riconosce lo stress come un fenomeno che può interessare tutti i posti di lavoro e qualunque lavoratore e invita a prestare attenzione a tutti i segnali che potrebbero ricondurre a situazioni lavorative particolarmente esposte a tale rischio. Con il D.M. 27 Aprile 2004 è stato aggiornato l’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia contro gli infortuni e le malattie professionali. Il nuovo elenco, che sostituisce quello precedente, è totalmente rinnovato non solo nei contenuti, ma nell’intera impostazione. Sono previste infatti tre liste: -Lista I, contenente malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità; -Lista II, contenente malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità; -Lista III, contenente malattie la cui origine lavorativa è possibile. Nella Lista II sono previste anche le disfunzioni dell’organizzazione del lavoro (con malattie psichiche e psicosomatiche derivanti da costrittività organizzativa quale disturbo da stress). ASPETTI GIURIDICI E GIURISPRUDENZA: - Nella legislazione italiana un interessante ambito di ricomprensione della materia si può trovare mediante un importante intervento modificativo/integrativo del testo del d.lgs.626/94 a seguito della sentenza di condanna emessa dalla Corte di Giustizia europea (C. 49/00 del 15 novembre 2001) nei confronti dell’Italia a causa di un non corretto recepimento del testo della direttiva 89/391 da parte del legislatore nazionale. Mediante la sentenza di condanna, supportata dalle precise e inequivocabili parole della Corte di Giustizia europea «i datori di lavoro sono tenuti a valutare l’ insieme dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori», l’Italia ha ricevuto (se comunque ve ne fosse stato bisogno) una conferma sull’obbligo a carico del datore di lavoro, in sede di valutazione dei rischi, di rilevare «tutti» (termine oggi inserito nella "nuova" versione dell’art.4,c.1,d.lgs.626/94) gli aspetti presenti in ambiente di lavoro e suscettibili, in forma diretta e indiretta, di natura tecnica o organizzativa, tradizionale o emergente, di costituire fonte di rischio per i lavoratori. L’importanza assunta dalle sentenze sul tema dello stress lavoro-correlato si lega a due principali aspetti di novità. Un primo aspetto è rappresentato dal rilevare che, ad oggi, in Italia anche in assenza di una precisa disposizione normativa che tratti del tema dello stress sul lavoro è possibile, da parte del lavoratore "sofferente", vedersi riconosciuto il danno e, superando il concetto di danno biologico -direttamente collegato alla necessità di dimostrazione concreta e provata di aver subìto un danno psico- fisico- la nuova possibilità di vedersi riconosciuto un danno (identificato come «danno esistenziale») per la "sola" sofferenza patita di un disagio lavorativo che non abbia necessariamente procurato conseguenze di danno (patologie lavoro- correlate) dimostrabili dal lavoratore. La base giuridica richiamata dai giudici di Cassazione è l’art.2087 del codice civile. INTERVENTI COLLETTIVI IN AMBIENTE DI LAVORO: Data la figura del datore di lavoro, con le sue responsabilità e i suoi obblighi, e la figura del lavoratore con il suo ruolo incontestabile di diretto testimone quotidiano del processo lavorativo, occorre cogliere appieno la potenzialità, nel rispetto delle rispettive specificità di funzione e ruolo, delle tre altre figure collocate in azienda, impegnate e totalmente dedicate al pieno raggiungimento di un livello, non solo di tutela della salute e sicurezza per tutti i soggetti presenti sul luogo di lavoro, ma di un livello di benessere diffuso e di tensione positiva costante rivolta ad un miglioramento continuo delle condizioni di lavoro. In specifico, non va dimenticato il ruolo del: - medico competente. La "competenza" di cui il legislatore ha inteso arricchire la figura del medico d’azienda (previsto dalla legislazione pre-vigente in materia), è una competenza che mai ha voluto, anche solo indirettamente, richiamare una maggior capacità al confronto di altri nel saper svolgere il proprio compito, ma che ha inteso sottolineare la specifica preparazione di questi medici nel sapere svolgere una funzione di natura più meramente preventiva e volta alla valorizzazione dell’ergonomia e del benessere sul luogo di lavoro. Un medico quindi che, come il legislatore ha previsto nel d.lgs.626/94, partecipa attivamente al processo di valutazione di «tutti» i rischi, un medico che deve visitare obbligatoriamente gli ambienti di lavoro per vedere i lavoratori nel pieno svolgimento delle loro funzioni, un medico che è chiamato a collaborare alla progettazione e svolgimento dei corsi di formazione all’interno dell’azienda. Pertanto non un medico che è chiamato a svolgere esclusivamente le visite sanitarie di rito, quasi in un ruolo di natura passiva, ma un protagonista, al pari e in contatto costante con le altre figure della prevenzione in azienda, che svolge un ruolo attivo e propositivo. A BUON INTENDITOR................






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